Il mondo è cambiato in maniera drammatica negli ultimi 50 anni, e negli ultimi 10 in maniera ancora più rapida e impressionante. Non se ne può non tenere conto. E non deve sconvolgere che alcune leggi non sono più adeguate ai tempi.
Così come non e’ immaginabile oggi la conflittualità tra imprenditore e lavoratore dei primi anni 60.
Oggi l’impresa sana, in particolare italiana, e’ ben rappresentata dalle aziende emiliane, dove e’ difficile individuare la benché minima conflittualità. Anzi esse evidenziano spesso un unico pensiero tra imprenditore e lavoratore.
Non e’ diventato precario, oggi, il lavoro dipendente, e’ diventato molto instabile il portafoglio ordini delle imprese ma, soprattutto, gli ordini, che primi venivano garantiti in modo pluriennale, o almeno annuale, sono diventati addirittura mensili. Se quindi l’azienda doveva ieri avere una flessibilità organizzativa intorno al 10% , oggi si arriva a valori superiori anche e oltre il 50%.
E’ questo il nuovo contesto nel quale si deve ragionare, e dove sono insieme imprenditore e lavoratore.
Ma non solo, ci sono due mondi molto diversi che sono venuti a contatto, molto diversi tra loro, disomogenei, che tendono rapidamente ad omogeneizzarsi.
Da un lato l’America e l’Europa, con una popolazione abituata alla ricchezza, ad un certo welfare, e anche molto indebitata, e poco ricca di materie prime, dall’altro i nuovi padroni del mondo, con grande ricchezza che proviene dalle ingenti risorse , grandi popolazioni che vogliono acquisire rapidamente gli agi europei, e che non solo non hanno debito, ma posseggono quello europeo e degli Stati Uniti.
Ma loro hanno, e questo è drammatico, un basso costo del lavoro, che compete però a livello globale con quello europeo.
In pratica bisogna rassegnarsi ad un’equazione evidente, mentre loro raggiungeranno il nostro benessere, mentre chiederanno le nostre stesse tutele, mentre anche il loro costo del lavoro crescerà, noi dovremo per forza diventare più poveri.
E’ in questo contesto globale che si deve ragionare ed i punti sopra esposti vanno valutati attentamente.
Proviamo ora a ragionare rendendo licenziabile il dipendente senza giusta causa, ma in una logica di stretta convenienza aziendale (azienda sana ed onesta).
In questa ipotesi, l’assumibilità sarebbe sempre a tempo indeterminato, in quanto l’azienda ha interesse a trattenere un collaboratore capace e per giunta formato. (Questo comporterebbe una semplificazione per tutti i lavoratori per l’accesso a mutui , fidi, e quant’altro).
Quando sarebbe costretta a privarsene, solo in ragione di una mancanza di commesse e quindi per problemi finanziari, l’azienda, in maniera mirata, si priverebbe solo di coloro che riportassero il conto economico in ordine.
Poche dismissioni al momento giusto renderebbero più efficace e rapida la ripresa per l’azienda!!
E per i lavoratori ‘licenziati’, quali tutele??
Visto che l’evento licenziamento in questo nuovo contesto, potrebbe essere un evento più frequente, si deve consentire al dipendente di godere di un’indennità di licenziamento (parte a carico dell’impresa, parte a carico dello stato che garantisca un periodo di 6 mesi, un anno di adeguata copertura finanziaria) . Ma questi soldi che l’azienda e lo stato spendono devono essere investiti nella formazione qualificata del dipendente, che in funzione del suo curriculum, ed in funzione delle NUOVE esigenze di mercato ne orienti la formazione.
In pratica, in un nuovo contesto così più aggressivo, il dipendente, l’azienda e lo stato devono garantire e garantirsi di essere sempre in tiro con il mercato. Ognuno per la sua parte deve FINALMENTE creare valore per avere uno stipendio, per avere degli utili, per vedere pagate le tasse.
Il concetto espresso sopra valorizza la temporaneità del lavoro e la trasforma in un’opportunità di formazione qualificata, che consentirà un più facile cambiamento, ma anche un migliore adattamento al mercato.
Si eviterebbe il concetto di cassa integrazione che impoverisce i dipendenti, li orienta ad un doppio lavoro, impoverisce le casse dello stato, e viene utilizzato in maniera esasperata dai grandi gruppi industriali, magari quotati.